Il Tribunale di Padova, con ordinanza 22 luglio 2022, ha dichiarato la contumacia di un cittadino italiano residente all’estero ritenendo validamente notificato l’atto di citazione all’indirizzo p.e.c. tratto dal registro telematico INI-PEC.
Il Tribunale ha motivato la propria decisione sostenendo che la notifica era stata eseguita dal difensore dell’attore e non dall’ufficiale giudiziario e quindi ai sensi dell’art. 3 bis della legge n. 53/1994.
La disposizione autorizza l’avvocato notificante ad utilizzare gli indirizzi di posta elettronica certificata presenti sui vari registri telematici, elencati dall’art. 16 ter decreto-legge n. 179/2012 che menziona, oltre all’INI-PEC, il registro PP.AA, il registro Imprese, il RegInde oltre ad alcuni registri non ancora attivi e/o realizzati.
Le notificazioni telematiche ex legge n. 53/1994, secondo il giudice padovano, non sono state istituite per collimare con le finalità istitutive proprie di ogni registro telematico bensì per consentire agli operatori del diritto di notificare validamente atti giudiziari a tutti i cittadini che abbiano iscritto il proprio indirizzo p.e.c. in uno dei menzionati registri.
In conseguenza, la notifica telematica ex art. 3 bis legge n. 53/1994 travalica e supera i fini istitutivi propri di ciascun registro telematico che, in conclusione, è un mero mezzo al servizio dell’avvocato notificante.
Né può rilevare, conclude il Tribunale, che l’atto notificato attenga ad una instauranda controversia promossa in ragione della particolare categoria a cui appartiene il privato (professionista o imprenditore, categorie di soggetti che necessariamente devo attivare un indirizzo di posta elettronica certificata per svolgere la propria attività) non essendoci invero “limiti all’utilizzo della casella di posta elettronica certificata quale effettivo domicilio digitale del titolare”.
L’ordinanza, per come sviluppata nelle motivazioni, si trova in parziale contrasto con quanto sostenuto dal Garante della Privacy che, d’intesa con il Ministero dell’Interno, con nota prot. 300/STRAD/1/10060.U/2021, ha manifestato la propria contrarietà alla pratica, sempre più in uso nei servizi di polizia urbana degli enti comunali, di notificare il verbale di contravvenzione del codice della strada al privato cittadino tramite il suo indirizzo p.e.c. professionale/imprenditoriale.
Il Garante, richiamando il decreto ministeriale 18 dicembre 2017 e la relativa circolare applicativa (20 febbraio 2018), ha ricordato che il Ministero ha specificato che i pubblici elenchi cui fa riferimento l’art. 3 del d.m. 18 dicembre 2017 (in materia di notificazione della contravvenzione al Codice della Strada) sono l’Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti (INI-PEC); l’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA); l’Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese (INAD) e il Registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della Giustizia (RegInde).
Essendo l’INAD ancora non attivo la ricerca dell’indirizzo a cui notificare il verbale può essere svolta solo nell’ambito del registro INI-PEC che com’è noto è composto da aziende e professionisti, sezione quest’ultima comprendenti anche le imprese individuali.
Proprio in relazione alla notifica a mezzo p.e.c. delle contravvenzioni all’indirizzo aziendale di impresa individuale il Garante aveva già investito il Ministero del problema con nota prot. n. 18521 del 20 maggio 2020.
La conseguente circolare ministeriale (300/A/4027/20/127/9) dell’ 8 giugno 2020 conteneva le seguenti considerazioni:
1. nella ricerca dell’indirizzo dell’obbligato in solido (proprietario del veicolo) si poteva adoperare il codice fiscale della persona fisica/imprenditore individuale, inserendolo nella sezione “Imprese” del registro INI-PEC, solo quando era stato accertato con chiarezza che il veicolo con cui era stata commessa la violazione era stato utilizzato nell’ambito dell’attività imprenditoriale e, in ogni altro caso (ad es. violazione accertata con strumenti da remoto), il codice fiscale della persona intestataria poteva essere utilizzato solo per interrogare il sistema nella sezione “Professionisti”;
2. in nessun caso si deve effettuare una ricerca massiva ed indiscriminata dell’indirizzo p.e.c. partendo dal codice fiscale di una persona fisica, svincolando i modi della ricerca dal caso concreto, dovendosi in alternativa procedersi nelle forme ordinarie;
3. particolarmente critica è la notifica della contravvenzione a studi professionali che, pur se non considerati “Imprese” sono dotati per legge di indirizzi p.e.c. attivi, consultati anche da soggetti diversi dall’intestatario (praticanti, segretarie, altri professionisti, ecc…);
4. il problema potrà essere superato solo con l’attivazione dell’INAD dato che l’art. 6 quater comma 2 del Codice dell’Amministrazione Digitale prevede l’automatica copia degli indirizzi presenti nel registro INI-PEC nell’INAD a patto di non trattarsi di un professionista che resta legato, quanto al suo indirizzo professionale, al registro INI-PEC salva la possibilità di attivare altro indirizzo INAD in qualità di semplice privato.
Ora, il contrasto sembra risiedere nella tipologia di ricerca che l’avvocato debba svolgere per rinvenire l’indirizzo del privato a cui notificare l’atto giudiziario.
Se è vero che il caso di specie tratta solo della notifica effettuata a soggetto privato, non può escludersi che la ricerca dell’indirizzo del cittadino sia stato effettuato mediante quell’operazione di ricerca massiva che contrasta con la normativa privacy né detta ricerca sia svincolata dalle ragioni del caso concreto che giustificano il ricorso all’attività notificatoria tramite un determinato indirizzo p.e.c..
Pensiamo ad un atto di citazione che trova ragion d’essere in un causa di natura ereditaria (relativa al cittadino in quanto figlio, erede, legatario, germano ecc. ma non in quanto imprenditore o professionista); in questo caso l’indirizzo p.e.c. adoperato per la notifica potrebbe essere il tramite attraverso cui si potrebbe dipanare una potenziale violazione della privacy del destinatario dell’atto notificato.
Tra l’altro la vicenda pone anche un problema di potenziale violazione del principio di uguaglianza: fermo restando la criticità legata alla violazione della privacy, se è corretto quanto sostiene il Tribunale di Padova, un soggetto obbligato ad attivare un indirizzo p.e.c., quale un libero professionista, può tendenzialmente ritenersi maggiormente esposto, rispetto ad un normale cittadino, a notifiche p.e.c. inerenti questioni che non riguardano la propria sfera professionale solo a causa di quanto impostogli dalla norme del proprio ordine.
Avv. Mario Minucci