Partendo da due quesiti ampiamente diffusi, ma che raramente vengono messi in correlazione, il presente contributo analizzerà il rapporto e le interferenze sussistenti tra la vendita con patto di riscatto e le principali azioni volte a sciogliere il vincolo contrattuale presenti nel nostro ordinamento.
Quanto sopra, in particolare, se la cessione ha ad oggetto beni immobili.
Pertanto, ci chiediamo: “nel contratto di vendita con patto di riscatto, quali sono i rapporti tra l’esercizio del diritto potestativo di riscatto e le eventuali azioni di risoluzione e di rescissione?”
E ancora: “il patto di riscatto può dare adito ad un’autonoma azione di risoluzione o di rescissione rispetto al contratto di vendita cui accede?”
Per meglio comprendere il rilievo di quanto formulato, e con esso le relative soluzioni, è opportuno chiarire i due istituti sottesi: la vendita con patto di riscatto, ed il successivo, ma solo eventuale, esercizio di riscatto.
La vendita con patto di riscatto, disciplinata dagli articoli 1500 e ss. del codice civile, consiste nella possibilità, per il venditore, di riottenere “la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo”, ed i rimborsi stabiliti dalla legge.
In sostanza, venditore e acquirente programmano un’ordinaria compravendita, mantenendo, però, salva, per il primo, la possibilità di tornare nuovamente proprietario del bene.
Conseguentemente, come in un’usuale vendita, al momento della conclusione del contratto la proprietà del bene verrà regolarmente trasferita in capo all’acquirente, fino a quando, eventualmente, il venditore non eserciterà il proprio diritto riscattando quanto ceduto. È questo l’istituto del riscatto.
A tal fine sarà sufficiente la dichiarazione attraverso la quale l’alienante eserciterà il proprio diritto potestativo, accompagnata dal pagamento del prezzo – “Il venditore che esercita il diritto di riscatto è tenuto a rimborsare al compratore il prezzo, le spese ed ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita, le spese per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell’aumento, quelle che hanno aumentato il valore della cosa” – o dalla sua offerta reale – “Se il compratore rifiuta di ricevere il pagamento di tali rimborsi, il venditore decade dal diritto di riscatto, qualora non ne faccia offerta reale entro otto giorni dalla scadenza del termine” – a far rientrare la proprietà del bene nel suo patrimonio.
Ne discende che nessun nuovo contratto di compravendita, in senso inverso al precedente, dovrà essere sottoscritto dalle parti.
Analizzati brevemente i due istituti, è ora possibile dare risposta ai quesiti in premessa ricorrendo alle conclusioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie: tra l’esercizio del riscatto e le impugnative contrattuali applicabili alla vendita con tale patto – in particolare risoluzione e rescissione –, non si evincerebbe, in genere, alcuna incompatibilità.
Il patto di riscatto è, infatti, aggiuntivo ed accessorio alla vendita e, pertanto, non godrebbe di “vita propria”, qualora la stessa venisse dichiarata risolta o rescissa.
Viceversa, la risoluzione o la rescissione (così come in generale tutte le azioni che comportano uno scioglimento) del patto di riscatto non sempre si riflettono sulla vendita: in tali casi occorrerà valutare di volta in volta se le parti avrebbero o meno concluso il contratto senza la riserva di riscatto.
Riteniamo, tuttavia, che, nel caso di specie, i due istituti tendano a viaggiare parallelamente, posto che difficilmente un contratto di compravendita sottoscritto con l’inserimento di una tale facoltà possa sopravvivere venuto meno il patto di riscatto.
È, infatti, acclarato che la vendita con patto di riscatto è un’operazione attuata dalle parti e pensata in tal modo a priori.
È opportuno segnalare, infatti, che molto spesso il venditore ha tutto l’interesse affinché la compravendita si concluda con la previsione di un diritto di riscatto, perché se da un lato può vendere un proprio bene ottenendo il pagamento del prezzo (e, pertanto, liquidità), dall’altro conserva la possibilità di riottenerlo, entro breve tempo, limitandosi a versare la stessa somma ricevuta.
Da ultimo, circa l’applicazione dei rimedi di tutela contrattuale – in particolare la risoluzione per inadempimento per impossibilità sopravvenuta ovvero eccessiva onerosità sopravvenuta – questi non troverebbero alcuna applicazione in relazione al negozio di riscatto in sé, trattandosi del circoscritto esercizio della facoltà potestativa di riottenere il bene precedentemente venduto e non di un’operazione di scambio in senso inverso.
In conclusione, si può affermare che trattasi di questioni ormai risolte, che difficilmente potranno subire una diversa evoluzione.
In qualità di operatori del diritto, tuttavia, teniamo monitorati gli istituti.
Avv. Marta Cobianchi
Dott.ssa Alessandra Mazzocchi